DA
ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVI
SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI
Campidoglio,
21-22 aprile 2016
“Sapienza”
Università di Roma
“IUS MIGRANDI”? MIGRAZIONI LATINE E CITTADINANZA ROMANA*
Sommario: 1. Per
una (possibile) definizione del (cosiddetto) “ius migrandi”. – 2. “Ius migrandi” nella terminologia degli studiosi
contemporanei. – 3. Il “ius migrandi”
«presumibile». Dalle parole al concetto. –
4. Dal
presumibile al certo. Parole e concetti nelle fonti romane. – 5. “In ciuitatem Romanam per migrationem et censum
transire”. I censori e il popolo.
Numerose e variamente organizzate sono le definizioni che gli autori
contemporanei danno del rapporto tra le migrazioni dei Latini in Roma e la
cittadinanza romana (cd. “ius migrandi”).
Mi limito a riportarne alcune, quelle maggiormente diffuse, soprattutto nella
manualistica.
«Les Latins ... avaient le droit de
s’établir à Rome, d’y exercer un droit de cité»[1].
«Uebersiedelung
des Latiners nach Rom unter Aufgabe seines Heimathrechts»[2].
«I Latini
… portando il loro domicilio a Roma, il che si riduce alla mera iscrizione
nelle liste censuali, conseguono la piena cittadinanza romana»[3].
«La facoltà data ai
Latini … d’iscriversi come cittadini stabilendosi in Roma»[4].
«… Latino che
stabilisca il suo domicilio a Roma non ha che a dichiarare ai censori di voler
essere cittadino romano»[5].
«Ogni latino,
trasportando il suo domicilio a Roma, diventa cittadino romano»[6].
«Il diritto … di
acquistare la cittadinanza di un altro stato della lega [sc.latina] mutando il proprio domicilio e facendosi iscrivere nelle
liste del censo»[7].
«Veniva riconosciuto,
dapprima ai Latini prisci, poi anche
agli altri, il diritto di acquistare la cittadinanza col trasporto del proprio
domicilio a Roma»[8].
«Il
diritto [sc. dei Latini] di
trasferirsi a Roma e di acquistarvi la cittadinanza, rinunciando alla propria»[9].
«… Riconosciuto [sc. ai Latini] … il diritto di
acquistare la cittadinanza romana col semplice fatto di fissare in Roma il
proprio domicilio, perdendo conseguentemente la cittadinanza originaria»[10].
«I Latini prisci … diventavano cittadini
romani trasferendosi stabilmente a Roma (ed iscrivendosi in una delle tribú)»[11].
«Lo statuto dei Latini
comprendeva il diritto di trasferirsi a Roma, assumendo la cittadinanza romana»[12].
Le
definizioni sopra riportate rappresentano al meglio le conclusioni (positive)[13]
cui gli studiosi sono pervenuti sull’argomento, tra la fine del XIX secolo ed i
tempi odierni.
Estraendo
i caratteri delle suddette definizioni, è possibile enucleare tratti comuni e
tratti distinti. Tra i primi, evidenzio: a)- l’esclusivo riferimento ai Latini,
da taluno specificato col richiamo alla distinzione tra Latini prisci e coloniarii;
b)- il rapporto causa-effetto tra il trasferimento a Roma e l’acquisto
della cittadinanza romana, ove tale trasferimento è da taluno specificato
tramite il concetto di “domicilio”. Tra i tratti distinti, registro i
riferimenti: a)- alla situazione giuridica del Latino “migrante”,
indeterminata oppure qualificata quale “diritto” o “facoltà”; b)- agli esiti
della sua originaria condizione, indeterminati oppure ritenuti dipendenti da
“rinuncia” o “perdita”; c)- alla formalizzazione della nuova condizione,
indeterminata oppure considerata dipendente distintamente da “iscrizione” (nel
censo o nelle tribú) o da “dichiarazione” (resa ai censori).
Insomma,
si tratterebbe del diritto o della facoltà che avevano i Latini (prisci o anche coloniarii) di acquistare la cittadinanza romana, (probabilmente)
con apposita dichiarazione al censore ed iscrizione nelle liste del censo,
avendo trasferito il domicilio a Roma ed avendo (probabilmente)[14]
rinunciato cosí alla cittadinanza originaria, espressamente o tacitamente.
La maggior parte degli
studiosi qualifica tale diritto (o facoltà) attraverso l’espressione “ius migrandi”. Tuttavia, non è raro
imbattersi in altre espressioni definitorie, alcune delle quali, però,
rischiano di generare confusione concettuale; esemplarmente: “ius Latii”[15],
“ius exulandi”[16],
“ius postliminii”[17],
“ius mutandae civitatis”[18].
Al di là di queste
eccezioni, dicevo, è piú diffusamente utilizzata l’espressione “ius migrandi”. Premesso che ritengo
possibile una mia svista, credo che il primo ad averla usata sia stato Pietro
Bonfante nel 1900 [19].
Direi che il Maestro italiano traduceva cosí (in latino) la formula che, anni
prima, Theodor Mommsen aveva creato (in tedesco) per descrivere la migrazione
dei Latini in Roma: «Recht des Uebersiedelnden»[20].
Orbene, tale
formulazione risulta dunque la piú diffusa tra gli studiosi contemporanei. Ma
v’è corrispondenza nelle fonti antiche?
A tal proposito, valga
quel che Francesco De Martino aveva scritto nella Storia della costituzione romana, fin dalla prima edizione: «Il ius migrandi ... non è attestato, ma è
presumibile»[21].
A questo punto, c’è da chiedersi che cosa sia «presumibile».
È presumibile: che i
Latini, migrando a Roma, ne abbiano acquistato la cittadinanza; che ciò sia
avvenuto già in età arcaica, (forse) in virtú del foedus Cassianum del
Insomma, pare proprio
che negli anni gli studiosi abbiano perduto, per dir cosí, le certezze
tramandate dai Maestri alla fine del XIX secolo. Tanto che è dato ravvisare,
soprattutto negli ultimi decenni, scetticismo verso l’esistenza stessa
dell’istituto[22].
Di fronte al
«presumibile» stanno, però, alcuni dati certi, tratti dalle fonti.
Innanzitutto,
è certa l’antica consapevolezza di una comunanza di stirpe tra Latini e Romani,
attraverso Enea e, quindi, la città di Troia[23].
Sono inoltre certe, fin dall’età del regnum,
l’inclusione di intere comunità latine in Roma[24]
e la conclusione di foedera coi
Latini[25].
È poi certa l’assenza di riferimenti a tale diritto di migrazione nel foedus Cassianum[26]
e nelle disposizioni assunte a seguito dello scioglimento della lega latina[27].
Infine, è certa la presenza in Roma di Latini, almeno fino al 177-173 a.C.,
divenuti (in qualche modo) cittadini romani a seguito di (costanti) migrazioni[28].
Orbene, sulla base dei dati certi è possibile trarre
conclusioni che non siano solo “presumibili”?
Stando ai dati certi,
dunque, non può essere posto in dubbio che i Latini, fin dall’età regia,
abbiano avuto una condizione particolare in relazione a Roma. Neppure si può
dubitare che tale condizione abbia nel tempo assunto speciali connotati, in
virtú dell’emersione del concetto di civitas
(Romana). È parimenti indubbio che il
foedus Cassianum non è stato il primo
patto stretto tra Romani e Latini.
Ora, però, posto che
nelle fonti romane non appare l’espressione “ius migrandi”, per ciò stesso si deve concludere che neppure ne sia
espresso il concetto? Che quindi, per dirla in breve, si tratti di una
invenzione, sia per la forma sia per il contenuto?
Inizio dalla forma.
Livio, in relazione a fatti avvenuti nel
Adesso il contenuto.
Per quanto si possa ragionare sui casi sopra menzionati, ed è stato ampiamento
fatto e sotto svariati profili[31],
resta che al tempo era senz’altro possibile per i Latini migrare in Roma e
acquistarvi la cittadinanza. E resta anche che in quattro lustra, dal 204 al
Orbene, alla luce
delle narrazioni liviane, mi sembra innegabile che la migrazione dei Latini in
Roma producesse conseguenze circa la condizione giuridica del migrato (e della
sua famiglia); ma si trattava di conseguenze che la migrazione, da sola, non
avrebbe potuto comportare. Era necessaria, infatti, l’iscrizione nelle liste
del censimento, il quale, come è noto, era realizzato nel sistema
giuridico-religioso romano attraverso il potere dei censori e secondo i
caratteri di lustrum/lustratio.
Ecco, in ciò mi sento
di dire che l’espressione “ius migrandi”
non è corretta o, se si vuole, è corretta solo in parte: non tiene conto dello
sviluppo del censo e, soprattutto, dell’affermazione del potere dei censori.
Migrazione e censo
sono quindi inscindibili, nella prospettiva dei Latini che migrano in Roma con
lo scopo di acquistarvi la cittadinanza; e ciò ancor prima della guerra
annibalica. Che, poi, possa essere stato un diritto azionabile in una qualche
sede, è tutta un’altra questione, da affrontare (e forse risolvere) procedendo
da analitiche considerazioni circa la base normativa del ‘transire/commigrare’ ed il potere dei censori.
Innanzitutto, messo da
parte il tema dell’azionabilità del “ius”,
occorre prendere atto di quanto affermato da Cicerone a proposito del valore
giuridico del “censo”, per cui esso non avrebbe dichiarato il diritto di
cittadinanza, ma avrebbe indicato che il censito si era comportato da cittadino
fin dall’iscrizione[33].
Peraltro, va detto che
i censori non compivano soltanto attività dichiarativa di un diritto altrui.
Occorre evidenziare, infatti, che varie erano le attività collegate al
censimento, ma che non tutte potevano essere svolte direttamente dai due
censori[34].
Al contempo, è necessario rilevare che i censori operavano certamente controlli
sulle dichiarazioni rese con solenne giuramento in occasione del censimento[35],
ma è improbabile che tali controlli fossero diffusi e capillari; altresí, non è
possibile ricostruire con certezza quali fossero i criteri seguiti per
individuare le dichiarazioni da verificare[36].
Comunque, ritengo che tali attività di controllo dipendessero, di regola, dal
potere (edittale e discrezionale) dei censori[37],
condizionabile eccezionalmente attraverso fonti normative d’altro tipo, quali
leggi, senatoconsulti e, seppur indirettamente, editti consolari[38].
Orbene, nella già
citata vicenda del
È evidente, però, che
nella vicenda sopra citata le verifiche censorie non erano state accurate, come
dimostrano le (insistenti) lamentele dei legati latini[40]
e la disposizione di apposita inchiesta da parte del pretore romano[41].
Parrebbe, anzi, che i censori abbiano deliberatamente trascurato di fare
controlli, come sembra dimostrare una certa insofferenza dei censori medesimi verso
quei legati, tanto che a questi ultimi era stato possibile presentare lamentele
ed istanze al Senato solo dopo il compimento del lustrum[42].
Mi verrebbe allora da dire che i censori del 179-
In conclusione, ritengo
certo che (per molto tempo) i Latini hanno avuto la possibilità di acquisire la
cittadinanza romana migrando in Roma. Reputo altresí certo che sulla vicenda ha
influito lo sviluppo del censo e del potere dei censori, attraverso i quali
passava l’ordine e la purificazione, sotto il profilo giuridico-religioso[45],
di quel che era a fondamento della (libera)
res publica: appunto, il popolo
(romano)[46].
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVI
Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma”
(organizzato dall’Unità di ricerca
‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con
la collaborazione della ‘Sapienza’
Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A
COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]
* In corso di pubblicazione in. Index. Quaderni camerti di studi romanistici. International Survey of Roman Law 46 (Napoli 2018). Questo contributo
trae spunto da alcune riflessioni presentate in una comunicazione da me tenuta
a Roma, in Campidoglio, il 22 aprile 2016 nel XXXVI Seminario internazionale di
studi storici «Da Roma alla Terza Roma», organizzato dall’Unità di ricerca
“Giorgio La Pira” del Consiglio Nazionale delle Ricerche ─
Sapienza-Università di Roma, in collaborazione con l’Istituto di Storia Russa
dell’Accademia delle Scienze di Russia, inserito tra le manifestazioni
ufficiali del Natale di Roma.
[1] J.
Marquardt, L’administration
romaine, Paris 1889, 74 (trad. franc. A. Weiss ˗ P. Louis-Lucas).
[2] Th.
Mommsen, Abriss des
römischen Staatsrechts, Leipzig 1893, 23 (trad. it. P.
Bonfante, Disegno del diritto pubblico
romano, Milano 1904, 25: «Migrazione del latino a Roma dietro rinunzia al
suo diritto patrio»).
[3] P. Bonfante, Diritto romano, Firenze 1900, 51.
[4] G. De Sanctis, Storia dei Romani II, Milano Torino Roma 1907, 102.
[5] S. Perozzi, Istituzioni di diritto romano I, Roma 1928, 16.
[6] P. Bonfante, Storia del diritto romano I, Roma 1934, 53.
[7] F. De Martino, Storia della costituzione romana II, Napoli 1954, 75 (II, Napoli
1973, 54).
[8] G. Grosso, Lezioni di storia del diritto romano, Torino 1965, 240.
[9] F. Cassola, L. Labruna, La guerra latina e la posizione dei Latini,
in Lineamenti di storia del diritto
romano, direz. M. Talamanca, Milano 1979, 262.
[10] E Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma 1980, 63.
[11] M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, Palermo 1992, 285.
[12] G. Pugliese, F. Sitzia, L. Vacca, Istituzioni di diritto romano, 4a ed.,
Torino 2012, 59.
[13]
C’è anche chi ha sostanzialmente negato l’esistenza di tale diritto; vedi infra, nt. 22.
[14] È
noto il passo dell’orazione pro Balbo
29, nel quale Cicerone affermava che, a differenza di altri cittadini, per i
Romani non era possibile possedere ulteriori cittadinanze: nos non possumus et huius esse civitatis et cuiusvis praeterea, ceteris
concessum est.
[15] L. Landucci, Storia del diritto romano I, Verona Padova 1898, 617 ss., aveva
trattato di cittadinanza acquisita «stabilendosi a Roma», inquadrandola
all’interno di ius Latii.
[16] J.-B.
Mispoulet, Les
Institutions politiques des Romains, Paris 1883, 48: «(les Latins)
conservent le ius exulandi, qui
consiste à recevoir membres de leurs cités les exilés romains, droit qui
peut-être la transformation d’un privilège antérieur plus important». L’autore
parrebbe descrivere lo sviluppo di un piú antico ius (migrandi).
[17]
Tra gli autori piú recenti, M.F. Cursi,
La struttura del “postliminium” nella
repubblica e nel principato, Napoli 1996, 17 ss., puntualizza le differenze
tra ius migrandi e ius postliminii.
[18] E Volterra, Istituzioni, cit., 63. Piú recentemente, A. Schiavone, a cura di, Storia
del diritto romano e linee di diritto privato, Torino 2011, 56.
[19] P. Bonfante, Diritto romano, cit., 51. Lo stesso autore, pochi anni prima,
trattando di cittadinanza e di Latini, aveva menzionato ius commercii, connubium,
ius suffragii et honorum, ma non ius migrandi (P. Bonfante, Istituzioni
di diritto romano, Firenze 1896, 40).
[20] Th.
Mommsen, Römisches
Staatsrecht III.1, Leipzig 1887, 637 (= Le droit public romain VI.2, Paris 1889, 260: «droit
d’émigration»). Peraltro, Bonfante nel 1904 curò la traduzione di Th. Mommsen, Abriss cit. 23 e 61 (trad. it. Disegno cit. 25 e soprattutto 72), ove
l’espressione tedesca «die latinische Freizügigkeit» fu appunto tradotta
(liberamente) in italiano con «il diritto latino di migrazione».
[21] F. De Martino, Storia della costituzione romana II cit. 75 (II cit. 54). Il
Maestro aggiungeva (alla nt. 7): «non abbiamo dirette testimonianze sul ius migrandi».
[22]
Si veda, esemplarmente, W. Broadhead, Rome's migration policy and the
so-called ius migrandi, in Cahiers
G. Glotz XII, 2001, 84 ss.; A. Coşkun, Buergerrechtsentzug oder
Fremdenausweisung? Studien zu den
Rechten von Latinern und weiteren Fremden sowie zum Buergerrechtswechsel in der
Roemischen Republik (5. fruehes 1. Jh. v. Chr.), Stuttgart 2009, passim (cui si contrappone criticamente D. Kremer, A
propos d'une tentative recente de deconstruction des privileges latins et en
particulier du ius migrandi, in Athenaeum 102 (2014), 226 ss.). Vedi, da ultimo, F. Mercogliano, Hostes novi cives. Diritti degli stranieri immigrati in Roma antica,
Napoli 2017, 31 s. (cui rinvio per la bibliografia): «lo ius migrandi … con lo ius
commercii e lo ius conubii pare
essere stato inserito talvolta anche dalla manualistica in una sorta di scontatissima
trinità concettuale». Sono tornati recentemente sull’argomento: S. Barbati, Gli
studi sulla cittadinanza romana prima e dopo le ricerche di Giorgio Luraschi,
in Rivista di Diritto Romano
XII, 2012; A. Muroni, Civitas
Romana: emersione di una categoria
nel diritto e nella politica tra Regnum
e Res publica,
in Diritto @ Storia. Rivista
Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 11, 2013 < http://www.dirittoestoria.it/11/note&rassegne/Muroni-Civitas-Romana-categoria-tra-regnum-res-publica.htm
>; G. Valditara, L’immigrazione nell’antica Roma: una
questione attuale, Roma 2015, passim;
U. Laffi, Le espulsioni da Roma di immigrati
provenienti da comunità latine e italiche in età repubblicana, in Athenaeum 105, 2017, 85 ss.
[23]
Indicative, a tal proposito, le parole con cui Tito Livio (1.23.1) descrisse il
rapporto tra Albani e Romani, e sull’argomento mi limito ad esse: et bellum utrimque summa ope parabatur,
civili simillimum bello, prope inter parentes natosque, Troianam utramque
prolem, cum Lavinium ab Troia, ab Lavinio Alba, ab Albanorum stirpe regum
oriundi Romani essent.
[24]
Si pensi agli stanziamenti sul Celio degli abitanti di Alba durante il regno di
Tullo Ostilio (Liv. 1.30.1-2) e sull’Aventino degli abitanti di Politoro
durante il regno di Anco Marzio (Liv. 1.33.1).
[25] Ancor
prima del foedus Cassianum, Romani e
Latini avevano concluso un patto regnante Tullo Ostilio (Liv. 1.32.3),
rinnovato poi durante il regno di Tarquinio il Superbo (Liv. 1.52.1-5).
[26]
Sui contenuti “certi” del foedus,
vedi Dion. Hal. 6.95.2; Fest., s.v. «nancitor»
166 L.; Liv. 8.14.10.
[27]
Sui contenuti delle quali, vedi Liv. 8.14.1-11.
[28]
Liv. 41.8; 41.9; 42.10.
[29]
Liv. 39.3.4-6: legatis deinde sociorum
Latini nominis, qui toto undique ex Latio frequentes conuenerant, senatus datus
est. his querentibus magnam multitudinem ciuium suorum Romam commigrasse et ibi
censos esse, Q. Terentio Culleoni praetori negotium datum est, ut eos
conquireret, et quem C. Claudio M. Liuio censoribus postue eos censores ipsum
parentemue eius apud se censum esse probassent socii, ut redire eo cogeret, ubi
censi essent. hac conquisitione duodecim milia Latinorum domos redierunt, iam
tum multitudine alienigenarum urbem onerante.
[30]
Liv. 41.8.6-12: mouerunt senatum et
legationes socium nominis Latini, quae et censores et priores consules
fatigauerant, tandem in senatum introductae. summa querellarum erat, ciues suos
Romae censos plerosque Romam commigrasse; quod si permittatur, perpaucis
lustris futurum, ut deserta oppida, deserti agri nullum militem dare possint.
Fregellas quoque milia quattuor familiarum transisse ab se Samnites Paelignique
querebantur, neque eo minus aut hos aut illos in dilectu militum dare. genera
autem fraudis duo mutandae uiritim ciuitatis inducta erant. lex sociis [ac]
nominis Latini, qui stirpem ex sese domi relinquerent, dabat, ut ciues Romani
fierent. ea lege male utendo alii sociis, alii populo Romano iniuriam
faciebant. nam et ne stirpem domi relinquerent, liberos suos quibuslibet
Romanis in eam condicionem, ut manu mitterentur, mancipio dabant, libertinique
ciues essent; et quibus stirps deesset, quam relinquerent, ut ciues Romani * *
fiebant. postea his quoque imaginibus iuris spretis, promiscue sine lege, sine
stirpe in ciuitatem Romanam per migrationem et censum transibant. haec ne
postea fierent, petebant legati, et ut redire in ciuitates iuberent socios;
deinde ut lege cauerent, ne quis quem ciuitatis mutandae causa suum faceret
neue alienaret; et si quis ita ciuis Romanus factus esset, <ciuis ne
esset>. haec impetrata ab senatu.
[31]
Si veda U. Laffi, Le espulsioni da Roma cit. 85
ss., cui rimando per la bibliografia.
[32]
Furono censori nel
[33]
Cic. pro Archia 11: quoniam census non ius civitatis confirmat,
ac tantum modo indicat eum qui sit census ita se iam tum gessisse pro cive.
[34] Conduce
a questa conclusione il buon senso, semplicemente, posto che all’inizio del III
secolo a.C. i cittadini romani censiti erano già centinaia di migliaia (vedi i
dati del diciannovesimo lustro, come riportati da Liv. 47.10.2). In tal senso
si era già espresso A. E. Astin, Regimen morum, in JRS. 78, 1988, 14 ss., seguito da C.
Bur, Le spectacle du cens. Relecture
du déroulement de la professio sous la république romaine, in Athenaeum
105, 2017, 520 ss.
[35]
Sulle dichiarazioni rese nel censimento, vedi Dion. Hal. 4.15.6 e Tab. Her. ll. 146 s. Per esempi di
formule di giuramento solenne richiesto in occasione del censimento, si veda
Gell. 4.20.3 e Liv. 43.14. In quest’ultimo brano v’è un chiaro esempio di
controllo censorio (cognituros) delle
dichiarazioni giurate, disposto con editto censorio (edixerunt), con evidenti effetti giuridici dipendenti dai censori
medesimi (iussuros): quia fama erat multos ex Macedonicis
legionibus incertis commeatibus per ambitionem imperatorum ab exercitu abesse, edixerunt de militibus P. Aelio [C.
Popilio] consulibus postue eos consules in Macedoniam scriptis, ut, qui eorum
in Italia essent, intra dies triginta, censi prius apud sese, in prouinciam
redirent; qui in patris aut aui potestate essent, eorum nomina ad se ederentur.
Missorum quoque causas sese cognituros esse; et quorum ante emerita stipendia gratiosa missio
sibi uisa esset, eos milites fieri iussuros.
[36]
Sull’argomento, vedi il recentissimo studio di C. Bur, Le spectacle du
cens cit. 520 ss., cui rinvio per la bibliografia. L’autore tenta una
ricostruzione dei possibili criteri dei controlli censori sulle dichiarazioni
rese dai cittadini in occasione del censimento; tra essi, pone la verifica
delle professiones dei nuovi
cittadini.
[37]
Cfr. il già citato (e riportato supra,
nt. 35) Liv. 43.14. I censori avevano emanato un editto per disciplinare
l’iscrizione censitaria di particolari categorie di cittadini.
[38]
Esemplarmente, cfr. la citata vicenda del
[39]
Liv. 41.9: qui socii [ac] nominis Latini,
ipsi maioresue eorum, M. Claudio T. Quinctio censoribus postue ea apud socios
nominis Latini censi essent, ut omnes in suam quisque ciuitatem ante kal.
Nouembres redirent.
[40]
Liv. 41.8: postea his quoque imaginibus
iuris spretis, promiscue sine lege, sine stirpe in ciuitatem Romanam per
migrationem et censum transibant.
[41]
Liv. 41.9: quaestio, qui ita non
redissent, L. Mummio praetori decreta est.
[42] Liv. 41.8: mouerunt senatum et legationes socium nominis Latini, quae et censores
et priores consules fatigauerant, tandem in senatum introductae. Furono
censori nel 179-
[43]
La mancanza di accuratezza nella verifica delle dichiarazioni rese con
giuramento dai Latini dimostra, mi sembra, un certo favore di base per
l’accrescimento della città attraverso le migrazioni latine, considerato anche
lo spopolamento che aveva recato la guerra annibalica. Ciò mi fa
inevitabilmente pensare al concetto della “città che cresce”, come evidenziato
da Livio (4.4: in aeternum urbe condita,
in immensum crescente) e poi dal giurista Pomponio (D. 1.2.2.2 (l. sing. enchiridii): aucta in aliquem modo civitate). Circa
il favore dei censori, già nel III secolo a.C., riguardo all’incremento delle
liste censitarie attraverso l’iscrizione di nuovi cittadini provenienti da
altre “cittadinanze”, si veda A. J.
Toynbee, L’eredità di Annibale.
Roma e l’Italia prima di Annibale I ,Torino 1981 (tit. orig. Hannibal’s legacy. Rome and Her Neighbours before Hannibal’s Entry I, London 1965, 347 ss. e 410 s. A
tal proposito, vedi anche F.
Mercogliano, Commercium, conubium, migratio. Immigrazione e diritti nell’antica Roma, in Cultura
giuridica e diritto vivente
2 (2015), 7.
[44]
Liv. 42.10.1-3: Eo anno lustrum conditum
est; censores erant Q. Fuluius <Flaccus A. Postumius> Albinus; Postumius
condidit. censa sunt ciuium Romanorum capita ducenta sexaginta nouem milia et
quindecim, minor aliquanto numerus, quia L. Postumius consul pro contione
edixerat, qui socium Latini nominis ex edicto C. Claudi consulis redire in
ciuitates suas debuissent, ne quis eorum Romae, et omnes in suis ciuitatibus
censerentur. Si tratta del censimento compiuto da Q. Fulvio Flacco e L.
Postumio Albino, censori nel 174-
[45] A
proposito di lustrum e lustratio, sono molto interessanti le
riflessioni di A. Mastrocinque, La fondazione di Roma e il patto con gli dèi,
in Apex. Studi storico-religiosi in onore
di E. Montanari, a cura di G. Casadio, A. Mastrocinque, C. Santi, Roma
2016, 103 ss.: «In antico le funzioni censorie erano paragonate a quelle dei
fondatori: il lustrum, atto finale della pratica del censimento, veniva avvertito
come un atto di fondazione della città, per cui si parlava di lustrum condere, “fondare il lustro”». Si veda anche J. Gagé, Les rites anciens de lustration du
populus et les attributs ‘triomphaux’ des censeurs, in MEFRA. 82, 1970, 43 ss.; F. Marco Simón, Ritual participation and collective identity in the roman republic:
"censu"’ and "lustrum", in Repúblicas y ciudadanos:
modelos de participación cívica en el mundo antiguo, coord. F.
Marco Simón, F. Pina Polo, J. Remesal
Rodríguez, Barcelona 2006, 153 ss. A proposito
di “fondazione” e di “origine”, vedi il fondamentale studio di A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Roma 2010 (rist.
delle edizioni romane del 1955 e del
[46] «Res publica res populi» è il principio
su cui si basa il concetto di repubblica, secondo la nota enunciazione di
Cicerone (nel de republica 1.25.39).